Storia della protezione civile


La storia della protezione civile in Italia è strettamente legata alle calamità che hanno colpito il nostro paese. Terremoti e alluvioni hanno segnato la storia e l’evoluzione del nostro Paese contribuendo a creare quella coscienza di protezione civile, di tutela della vita e dell’ambiente che ha portato alla nascita di un Sistema di Protezione Civile in grado di reagire e agire in caso di emergenza e di mettere in campo azioni di previsione e prevenzione. Nella fase immediatamente successiva ad una grande catastrofe, le innovazioni, le decisioni e le scelte sono favorite dal clima di forte emozione che dopo ogni disastro coinvolge l’opinione pubblica e le istituzioni. Il concetto di protezione civile – come espressione di solidarietà, spirito di collaborazione e senso civico – ha radici lontane. La storia racconta di organizzazioni solidaristiche e di volontariato impegnate a portare aiuto in occasione di grandi emergenze già con gli ordini religiosi medievali e con le prime strutture laiche, come le Misericordie nate a Firenze tra il ‘200 e il ‘300 o i Vigili del Fuoco presenti da secoli nelle valli alpine.

  La prima legge sul soccorso è il Rdl n. 1915 del 2 settembre 1919, che dà un primo assetto normativo ai servizi del pronto soccorso in caso di calamità naturali, anche se limitato ai soli terremoti. Il Ministero dei Lavori Pubblici è l’autorità responsabile della direzione e del coordinamento dei soccorsi, da cui dipendono tutte le
autorità civili, militari e locali. Occorre attendere il 1925 per una prima normativa organica in materia di protezione civile: la Legge n. 473 del 17 aprile individua nel Ministero dei Lavori Pubblici e nel suo braccio operativo, il Genio Civile, gli organi fondamentali per il soccorso, con il concorso delle strutture sanitarie.
Il Rdl n. 2389 del 9 dicembre 1926, convertito nella Legge n. 833 del 15 marzo 1928, definisce ulteriormente l’organizzazione dei soccorsi e conferma la responsabilità del Ministero dei LL.PP nel dirigere e coordinare gli interventi anche delle altre amministrazioni ed enti dello stato, come i Pompieri, le Ferrovie dello Stato, la Croce Rossa ecc.I soccorsi non si limitano ai soli “disastri tellurici”, ma vengono estesi a quelli “di altra natura”. In attesa dell’arrivo sul luogo del disastro del Ministro dei Lavori Pubblici, o del Sottosegretario di Stato, tutte le autorità civili e militari dipendono dal Prefetto, rappresentante del governo nella provincia, che coordina i primissimi interventi. Stesso potere viene affidato ai sindaci sul territorio comunale: appena venuti a conoscenza dell’evento, devono inviare sul luogo i Pompieri e il personale a loro disposizione, dandone immediata notizia al Prefetto. Il personale di soccorso e gli scavi delle macerie vengono coordinati invece dal Genio Civile. Vengono chiamati a concorrere, a diverso titolo l’Aeronautica, l’Esercito, il Ministero per le Comunicazioni e la Croce Rossa Italiana. Nel dopoguerra, sull’onda del clima di rinnovamento post conflitto mondiale, si cerca di arrivare ad una legislazione organica in materia di protezione civile: negli anni 1950, 1962 e 1967 vengono infruttuosamente presentati alcuni progetti di legge. Ma ancora una volta, sono li eventi calamitosi ad aprire la strada alla predisposizione e all’approvazione di nuovi e più idonei strumenti legislativi.
L’alluvione di Firenze del 1966, la prima emergenza seguita dai media di tutto il mondo, evidenzia l’inadeguatezza della struttura centrale dei soccorsi. Causa l’assenza di una rete di monitoraggio l’esondazione dell’Arno non viene preannunciata con un certo anticipo e i cittadini vengono colti di sorpresa. Nei primi giorni gli aiuti e i soccorsi arrivano quasi esclusivamente dai volontari (“gli angeli del  ango”) e dalle truppe di stanza in città. Solo sei giorni dopo l’alluvione il governo è in grado di mettere in campo una rete di soccorso organizzata. Anche in occasione del terremoto del Belice del 1968 (236 morti) la gestione dell’emergenza si rivela un vero e proprio fallimento per la mancanza di coordinamento tra le forze in campo. Anche le scelte per la ricostruzione si rivelano sbagliate: la popolazione viene incentivata ad allontanarsi dai centri storici colpiti e vengono realizzati nuovi insediamenti del tutto estranei alle tradizioni e stili di vita locali. La svolta arriva con la Legge n. 996 dell’8 dicembre 1970, la prima vera e propria legge che delinea un quadro complessivo di interventi di protezione civile: “Norme sul soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite da calamità – Protezione Civile”.
Per la prima volta il nostro ordinamento recepisce il concetto di protezione civile e precisa la nozione di calamità naturale e catastrofe. Si afferma quindi il concetto di protezione civile intesa come predisposizione e coordinamento degli interventi e si individuano i compiti fondamentali affidati ai vari organi della protezione civile per una razionale organizzazione degli interventi e per far arrivare nel modo più rapido ed efficace i soccorsi alle popolazioni colpite.

La direzione e il coordinamento di tutte le attività passano dal Ministero dei Lavori Pubblici al Ministero dell’Interno. E’ prevista la nomina di un commissario per le emergenze, che sul luogo del disastro dirige e coordina i soccorsi. Per assistere la popolazione dalla prima emergenza al ritorno alla normalità vengono creati i Centri Assistenziali di Pronto Intervento  Capi). Per un miglior coordinamento dell’attività dei vari ministeri viene istituito il Comitato Interministeriale della Protezione Civile. Per la prima volta viene riconosciuta l’attività del volontariato di protezione civile: è il Ministero dell’Interno, attraverso i Vigili del Fuoco, ad istruire, addestrare ed equipaggiare i cittadini che volontariamente offrono il loro aiuto.

La legge 96/70 privilegia il momento dell’emergenza: di fatto si disciplina solo il soccorso da mettere in campo nell’immediatezza dell’evento. Il regolamento d’esecuzione della legge viene approvato solo dopo 11 anni; nel frattempo rovinosi terremoti colpiscono nel 1976 il Friuli e nel 1980 la Campania. In occasione di questi due grandi terremoti, che provocano rispettivamente 976 e 2570 vittime, la gestione dell’emergenza e della ricostruzione è molto diversa, anche se i primi giorni sono caratterizzati in entrambi i casi dalla lentezza dei soccorsi e dalla mancanza di coordinamento.Friuli Venezia Giulia vengono coinvolti da subito il governo regionale e i sindaci dei comuni colpiti, che lavorano in stretto contatto con il Commissario straordinario (Giuseppe Zamberletti) fin dall’inizio dell’emergenza.

Per la prima volta vengono istituiti i “centri operativi”, con l’obiettivo di creare in ciascun comune della zona colpita un organismo direttivo composto dai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche e private, sotto la presidenza del sindaco, con il potere di decidere sulle operazioni di soccorso, conoscendo le caratteristiche del territorio e le sue risorse. Anche nella fase della ricostruzione viene dato potere decisionale ai sindaci per avere un controllo diretto sul territorio che allo stesso tempo faccia sentire le istituzioni vicine ai cittadini. La popolazione partecipa attivamente alla ricostruzione del tessuto sociale e urbano secondo il “modello Friuli”, “com’era, dov’era”, completata in poco più di 15 anni.

La gestione dell’emergenza dopo il terremoto dell’Irpinia è fallimentare, sia nelle prime ore post sisma sia nella successiva fase della ricostruzione. I primi soccorsi sono caratterizzati dalla totale mancanza di coordinamento: volontari, strutture regionali e autonomie locali si mobilitano spontaneamente senza aver avuto indicazioni e precisi obiettivi operativi dal Ministero dell’Interno. Dopo il caos dei primi tre giorni, il governo interviene nominando il Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti, che riesce a riorganizzare i soccorsi e a dialogare con i sindaci.
Di fronte a queste catastrofi il sistema dei soccorsi mostra tutti i suoi limiti: si apre un dibattito civile e culturale con l’obiettivo di superare il vecchio assetto operativo. Comincia a farsi strada l’idea che i disastri vadano affrontati dopo averli “immaginati, descritti e vissuti” prima e che occorra dimensionare le strutture di intervento tenendo conto di scenari già elaborati e di misure di prevenzione già messe in atto. Si comincia a parlare di protezione civile non solo come soccorso, ma anche come previsione e prevenzione. I tempi sono ormai maturi per un cambiamento radicale.

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